GAIO LUCILIO

 Busto di Lucilio

Con questo autore ci muoviamo su un  genere, la satira appunto, che i Romani rivendicano come proprio. Infatti non esiste nessun genere simile nella letteratura greca e il grande oratore Quintiliano, vissuto nel I secolo dopo Cristo, poteva affermare orgogliosamente che la Satura quidem tota nostra est (la satira certamente è tutta nostra) è dà la palma di tale “invenzione” a Gaio Lucilio.

Se sarà proprio Lucilio a definire la satira come genere, discussa è viceversa la sua origine, e quindi la parola che la definisce (da cui deriva il nostro termine di “satira” e “satirico”, che può derivare da:

  • da Satyris, perché in questo genere di poesia sono contenute parole buffe e scurrili quali potevano essere pronunciate dai Satiri. Ma questi ultimi appartengono alla mitologia greca, pertanto come ipotesi ci sembra lontana dalla verità;
  • dalla lanx satura, piatto in cui venivano mescolate insieme varie primizie, offerto agli dei durante una cerimonia religiosa;
  • dalla satura specie di “polpettone” formato da vari ingredienti;
  • lex per saturam (legge per satura) proposta di legge che comprendeva diversi argomenti.

Il primo a utilizzare questo genere fu Ennio, che ne compose 4 libri di vario argomento, di cui ci rimangono pochi frammenti, ma come già detto, Quintiliano, vissuto nell’età dei Flavi, la fa derivare da Lucilio, cui seguiranno in età augustea Orazio, quindi Persio e Giovenale.

Tale genere, in ultimo si potrebbe come un’opera poetica, di natura composita, che, col tempo, verrà composta in esametri, il cui scopo è colpire e criticare i vizi altrui; tale genere potrebbe definirsi, quindi, come un genere morale.

Notizie biografiche

Poco sappiamo della sua vita. Alcuni riferiscono che Gaio Lucilio sia nato a Suessa Aurunca (posta nel confine tra Lazio e Campania) nel 148 a.C. Altri preferirebbero anticipare tale data per almeno una ventina d’anni, quindi datare la sua nascita tra il 180 e 167 a. C.  Sappiamo invece con certezza che morì nel 102.  Se dovessimo accettare tale datazione potremo indicarlo come contemporaneo di Terenzio, ed infatti fu, come il commediografo latino, intimo della casa degli Scipioni, ma con un’enorme differenza: nei pochi anni intercorsi tra la sua frequentazione e quella del commediografo con gli Scipioni, l’importanza della famiflia degli Scipioni era enormemente accresciuta. Inoltre non bisogna dimenticare che Lucilio frequentava la loro casa da pari a pari, a dimostrazione che la sua estrazione era certamente aristocratica, se possedeva secondo le fonti, latifondi in Sicilia, Sardegna, Lazio e Campania. 

 

Moneta risalente al 280, 260 a.C ritrovata a Sessa Aurunca

Satura

Lucilio fu un uomo di vastissima cultura che non solo conosceva la cultura che lo precedeva (Ennio, come visto, aveva di certo scritto satire, ma di cui possediamo pochissimi versi) ma la contemporanea e, soprattutto quella greca. Questa conoscenza le permise di essere un reale innovatore in quanto:

  • Per la prima volta un poeta poté esprimere in maniera diretta il suo mondo e il modo con cui si rapporta con la realtà;
  • La schiettezza e la volontà parodica o “violenta” con cui attaccava i nemici e li derideva;
  • Ad essere protagonista vi era un “io”, i cui versi – come scrive lui stesso – nascono ex praecordis, cioé nell’intimo del suo animo, che sceglie di essere poëta, rinunciando ai negotia politici ed economici;

La sua opera era composta da 30 libri e certamente l’ordine con cui l’opera ci è stata trasmessa non corrisponde alla scrittura: i primi libri sono presumibilmente gli ultimi scritti. Ciò lo possiamo affermare dalla metrica: certamente infatti le ultime satire vennero scritte in esametro, che è il verso che andava sempre più affermandosi nella letteratura latina, mentre i primi, che i grammatici posero per ultimi, presentano versi vari, alcuni ripresi dalla commedia. I temi che egli affronta sono molto vari: ad esempio dobbiamo citare il tema del viaggio, d’amore, del banchetto, temi che saranno tutti ripresi, poi, dai poeti posteriori. Ma, come detto precedentemente, forte è il tema moralistico, anch’esso ripreso da Orazio che farà di questo genere un vero e proprio “classico”.

Pochi sono i frammenti che possediamo di quest’opera. Ci piace ricordare questi versi: 

IL VALORE DELL’UOMO

Virtus, Albine, est pretium persolvere verum
quis in versamur, quis vivimus rebus, potesse,
virtus est homini scire id quod quaeque habeat res,
virtus scire homini rectum, utile quid sit, honestum,
quae bona, quae mala item quid inutile, turpe, inhonestum,
virtus quaerendae finem re scire modumque,
virtus divitiis pretium persolvere posse,
virtus id dare quod re ipsa debetur honori,
hostem esse atque inimicum hominum morumque malorum
contra defensorem hominum morumque bonorum,
hos magni facere, his bene velle, his vivere amicum,
commoda praeterea patriai prima putare,
deinde parentum, tertia iam postremaque nostra

Virtù, Albino, è poter assegnare il giusto prezzo alle cose fra cui ci troviamo e fra cui viviamo, virtù è sapere che cosa per l’uomo è retto, utile, onesto, e poi quali cose sono buone, quali cattive, che cos’è inutile, turpe, disonesto; virtù è saper mettere un termine, un limite al guadagno, virtù poter assegnare il suo vero valore alla ricchezza, virtù dare agli onori quel che veramente gli si deve: esser nemico e avversario degli uomini e dei costumi buoni, questi stimare, a questi voler bene, a questi vivere amico; mettere inoltre al primo posto il bene della patria, poi quello dei genitori, il terzo e ultimo il nostro.

E’ questo il frammento più lungo e più celebre di Lucilio, figlio della filosofia stoica che si seguiva nel circolo degli Scipioni. Ma ci dà inoltre un vivido esempio di come dovesse essere il comportamento e quale invece esso era, sottolineando un forte moralismo e una rigidezza di costumi che, ben diversa da quella di Catone, cercava di stigmatizzare il vizio delle classi al potere.

 

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