QUINTO ENNIO

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La cosiddetta testa di Ennio dal sepolcro degli Scipioni

Ennio è di due generazioni più giovane rispetto a Livio Andronico: è anche lui nato nell’attuale Puglia, più precisamente a Rudi, dove subisce l’influenza sia della cultura greca che di quella latina, ma non è esente quella locale, Osca, se lui afferma di possedere tria corda se habere dicebat quod loqui Graece et Osce et Latine. Viene a Roma a seguito di Catone il Censore che lo incontra in Sardegna, dove il nostro militava come soldato di guarnigione. Venuto nell’Urbe diviene insegnante, ma si afferma soprattutto come autore di tragedie. Non passerà molto tempo per allontanarsi dall’ideologia di Catone, diventando amico degli Scipioni: l’atto che sancisce questa sua scelta è quella di seguire il console Marco Fulvio Nobiliore come autore di versi ufficiale (con grande riprovazione del suo antico protettore) nella battaglia presso Ambracia, città greca, e su di essa scrive, ne deduciamo, una tragedia d’argomento romano (praetexta). In seguito, favorito dalla famiglia di Nobiliore e dalla casata dei nuovi amici , si dà alla composizione del suo poema epico, intitolato, come facevano i Pontefici Massimi, Annales.

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Mosaico in cui è rappresentato il poeta Ennio

Quest’opera è la prima opera latina scritta in esametri, verso tipico, di tipo quantitativo, dell’epica omerica. In essa si voleva celebrare la storia di Roma dalle origini fino ai suoi giorni. In fondo si trattava, per lui, di continuare ad avere una concezione eroica della letteratura: se con la scrittura della tragedia Ambracia aveva esaltato le gesta dell’eroe del cui seguito faceva parte, ora con il poema epico avrebbe coronato il sogno di cantare gli eroi di tutta quanta la romanità. Se anche Nevio, con il Bellum Poenicum, aveva esaltato le capacità belliche di Roma, Ennio voleva porsi al di là raccontando in un continuum narrativo la gloria della città che lo aveva onorato come grande scrittore e che ricambiava con un’opera altrettanto grande. Per questo è molto più vivo in lui il riferimento a Omero, sia per la struttura che per l’ideologia.

L’opera era forse strutturata in XVIII libri, con due prologhi, uno al primo ed uno al settimo. E’ in quest’ultimo brano che il riferimento al poeta greco diventa evidente:

somno leni placidoque revinctus
….
Visus Homerus adesse poëta

 Vinto da un sonno placido e leggero
sembrò che il poeta Omero si avvicinasse

infatti il poeta sembra quasi indicarci il suo sostituirsi al grande poeta antico. E lo fa anche perché sarà lui a riprenderne, orgogliosamente la versificazione:

… scripsere (scripserunt) alii rem
versibus quos olim Fauni vatesque canebant,
cum neque Musarum scopulos …
… ne dicti studiosus quisquam erat ante hunc
Nos ausi reserare

Gli altri scrissero la storia
Con i versi che un tempo i Fauni e gli Oracoli cantavano,
quando né le rocce delle Muse…
… né un qualche cultore della parola c’era prima di questo.
Noi abbiamo osato aprire…

Ma il dire enniano lo pone quasi al di là dello stesso Omero: egli qui si definisce infatti, dicti studiosus, cultore della parola e quindi della raffinatezza della poesia greca contemporanea.

La sua particolarità sta nell’ardito sperimentalismo con cui a volte cade nel ridicolo, come nel verso:

o Tite, tute, Tati, tibi tanta, tyranne, tulisti

o Tito Tazio, tu stesso ti attirasti tante disgrazie

dove l’allitterazione in t, viene usata, nel primo libro di retorica, come esempio da non imitare per il suono troppo duro.

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Ennio Annales in un’edizione del 1932

Ma Ennio è capace anche di pagine di grande poesia, come questo, uno dei più lunghi pervenutoci:

IL SOGNO DI ILIA

 Et cita cum tremulis anus attulit artubus lumen,
talia tum memorat lacrimans exterrita somno:
«Eurydica prognata, pater quam noster amavit,
vires vitaque corpus meum nunc deserit omne.
Nam me visus homo pulcher per amoena salicta
et ripas raptare locosque novos: ita sola
postilla, germana soror, errare videbar
tardaque vestigare et quaerere te neque posse
corde capessere: semita nulla pedem stabilibat.
exim compellare pater me voce videtur
his verbis: “O gnata, tibi sunt ante gerendae
aerumnae, post ex fluvio fortuna resistet.”
Haec effatus pater, germana, repente recessit
nec sese dedit in conspectum corde cupitus,
quamquam multa manus ad caeli caerula templa
tendebam lacrumans et blanda uoce vocabam.
vix aegro cum corde meo me somnus reliquit.»

E quando la vecchia, affrettandosi, portò con mani tremanti il lume, allora Ilia, atterrita dal sogno, piangendo così raccontò: «O figlia di Euridice amata da nostro padre, ora le forze della vita abbandonano tutto il mio corpo. Infatti ho sognato che un uomo di bell’aspetto mi trascinava attraverso ameni filari di salici e rive e luoghi a me ignoti; così dopo, sorella mia, mi sembrava di vagare e di mettermi, con lenta andatura, alla ricerca di te, ma non riuscivo ad orientarmi; su qualsiasi sentiero il mio piede vacillava. Poi mi sembrava che nostro padre mi rivolgesse queste parole: ‘Figlia, dovrai dapprima sopportare molte tribolazioni, poi la buona sorte ti sarà restituita dal fiume’. Dette queste parole, sorella, nostro padre improvvisamente scomparve, sebbene io lo desiderassi con tutto il cuore, sebbene tendessi molte volte le mani verso gli spazi azzurri del cielo, piangendo, e teneramente lo chiamassi. Proprio in quel mo-mento il sonno mi ha abbandonato lasciandomi con il cuore angosciato.

Si descrive qui il sogno premonitore di Ilia, che lo racconta a un’anziana sorellastra, figlia di Enea e della sua prima moglie Euridice (chiamata anche Creusa). Ilia, infatti, non sarebbe che la vestale Rea Silvia che incontra un uomo bello, cioè il dio Marte. Poi interviene il padre che le dice che saranno anni difficili per lei, ma il fiume la salverà, dove si mette in assoluto rilievo la mitica nascita di Romolo e Remo.

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Anfitreatro romano di Nora

Riguardo la produzione teatrale Ennio è portato maggiormente per lo stile tragico: infatti anche se ci ha lasciato i titoli di due commedie, la sua fortuna la deve a cothurnatae dove riprende il teatro d’Euripide, cioè opere con una forte introspezione psicologica. Non è possibile trarre una verità sul modo in cui affrontasse temi e personaggi, ma dai versi che ci sono rimasti delle sue tragedie, circa una ventina, (di cui due sole praetextae) sembra che egli dia anche importanza agli aspetti della natura.

LA NUTRICE DI MEDEA

Utinam ne in nemore Pelio securibus
caesa accidisset abiegna ad terram trabes,
neve inde navis inchoandi exordium
cepisset, quae nunc nominatur nomine
Argo, quia Argivi in ea delecti viri
vecti petebant pellem inauratam arietis
Colchis, imperio regis Peliae, per dolum;
nam numquam era errans mea domo efferret pedem
Medea animo aegro amore saevo saucia.

Volesse il cielo che nel bosco del Pelio mai fosse caduta a terra, tagliata dalla scure, quella trave di abete e che da qui non avesse mai avuto inizio la costruzione della nave che ora ha preso il nome di Argo perché, trasportato su di essa, il fior fiore degli eroi argivi, su ordine del re Pelia, cercò di ottenere (con l’inganno) dai Colchidi il vello d’oro dell’ariete. Ché la mia padrona Medea, dal cuore dolorante ferita da una grave passione d’amore non avrebbe mai lasciato la sua patria per andare raminga.

Pur in un così breve frammento è semplice identificare il modo attraverso cui egli cerca di raggiungere il “pathos” del lettore/spettatore dell’opera: potremo quasi dire che in questo lamento esistono solo due modi di costruire il discorso: il prendere atto della costruzione della nave e la sua terribile conseguenza, ma il dio (il fatto) non lo ha concesso.

Per l’aspetto della natura basta osservare questi versi:

LA PRIMAVERA

caelum nitescere, arbores frondescere,
vites laetificae pampinis pubescere,
rami bacarum ubertate incurvescere,
segetes largiri fruges, florere omnia

 il cielo risplendere, le piante metter fronde, le viti rigogliose sbocciare di pampini, i rami incurvarsi per l’abbondanza dei frutti i campi produrre messi in gran copia, tutta la natura fiorire

Per questi versi il discorso è completamente diverso: a dominare è la gioia della nascita, costruita qui con infiniti narrativi incoativi a dirci che essa non ha tempo, ma si ripete ciclicamente per la felicità umana.