ALLE ORIGINI DELLA CULTURA ROMANA

Roma, come ci dice la tradizione, nasce nel 754 a. C. Le ricerche archeologiche in parte confortano tale data, affermando come le popolazioni sia che lì abitavano sia che gravitassero lì intorno si strutturassero in qualcosa di più solido; ma i Romani, invece, confortarono tale data con leggende, tutte tese a valorizzare la città.

Romolo e Remo (Rubens) - WikipediaPeter Paul Rubens – Romulo and Remo (1615)

La prima leggenda è legata all’eroe mitico Romolo: si dice che il dio Marte sedusse una Vestale, Rea Silvia, figlia del re di Alba Longa, Numitore. La donna mise al mondo due gemelli. Il principe Amulio, che aspirava al trono, ordinò che la sacrilega donna fosse sepolta viva e i neonati fossero abbandonati alla furia del fiume. Ma la cesta in cui furono posti s’incagliò tra i rami di un fico (fico Ruminale); raccolti e allattati da una lupa (Livio pensa si tratti di una prostituta) diventarono grandi sotto il pastore Faustolo e sua moglie Acca Laurenzia. Una volta adulti, uccisero Amulio e, restituito il regno a Numitore, ottennero da quest’ultimo il permesso di fondare una città. Quindi decisero chi ne sarebbe stato il primo capo e si accordarono che toccasse a colui che avesse visto più uccelli volare in cielo. Vinse Romolo, che quindi ne delimitò il confine, ma Remo, invidioso, lo superò e fu quindi ucciso dal fratello.

Eneide libro 7: riassunto, personaggi, luoghi - Studia Rapido

Pietro da Cortona: Enea giunge a Roma (1654)

A questa leggenda ne seguì e se ne intrecciò un’altra, che legava la figura di Romolo con Enea, eroe giunto da Troia dopo la distruzione della città da parte dei Greci: giunto nel Lazio egli si unì con i Latini sposando Lavinia. Il suo primo figlio Ascanio, fu quindi il progenitore di Numitore. Un’altra leggenda s’aggiunse a spiegare, oltre l’elemento latino, quello sabino, la famosa tratta delle donne sabine, a cui seguì una guerra. Tarpea, invaghitosi del loro re o pagata con ricchi gioielli, fece entrare i soldati in città. Ne seguì un’alleanza che sancì l’unione con la popolazione. Riconosciuta colpevole, Tarpea fu gettata da una rupe. Invece Romolo, scomparso durante una tempesta fu onorato come un dio.

Tarpea tradisce i Romani per l'oro dei Sabini - Studia Rapido

La morte di Tarpea

Sempre miticamente viene quindi rappresentato il periodo monarchico, racchiundendolo intorno a sette re, Romolo compreso:

  • Romolo a cui è attribuita l’alleanza con i Sabini;
  • Numa Pompilio, sabino: a lui è attribuita tutta la componente religiosa della città;
  • Tullio Ostilio, re guerriero: a lui si deve la conquista di Alba Longa (mito dei tre fratelli Orazi e Curiazi);
  • Anco Marcio fece importanti opere pubbliche: costruì il primo ponte e fondò la colonia di Ostia;
  • Tarquino Prisco dà inizio alla dinastia etrusca (e quindi ad un forte predominio di quest’elemento su quello romano); costruì il tempio di Giove, il Circo Massimo e la Cloaca Massima;
  • Servio Tullio, anch’egli d’origine etrusca: egli costruì le prime mura delle città;
  • Tarquino il Superbo: fu un despota. Suo figlio Sesto violentò la virtuosa Lucrezia, moglie del nobile Collatino. Costei per l’onore perduto s’uccise. Il marito, con Lucio Giunino Bruto, cacciò la dinastia etrusca e fondò la repubblica aristocratica (509 a.C).

I sette re, la leggenda di Roma - RAI Ufficio Stampa

I sette re di Roma

Ad indicarci che la monarchia fosse più lunga di quella prospettataci di sette re è la pochezza del numero rispetto alla lunghezza dell’età (35 anni per ognuno) e le loro caratteristiche (ad essi è affidato un particolare aspetto tipico della città, militare, politico o civile). Ciò che è certo è che l’età monarchica finì non solo per una vera e propria controffensiva aristocratica, ma anche come una ripresa dell’elemento romano contro il predominio etrusco che i tre re avevano affermato. Pertanto i patrizi dovettero muoversi su due fronti: strutturazione di uno stato oligarchico con le sue cariche e funzioni; preparazione militare per ricercare un’egemonia in Italia centrale.

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Tiziano: Lucrezia e Sesto Pompeo

Aspetto politico

La società era già divisa in età romana in tre tribù, rappresentanti l’elemento indigeno (romano/latino), sabino e forse etrusco. Ogni tribù fu a sua volta divisa in curie formate dalle gentes. Ognuna di esse ne possedeva dieci, per un totale di trenta. Esse davano vita ai comizi (le assemblee) curiati (dei gentiles). All’interno delle gentes vi erano le familiae, termine comprensivo con il quale si indicava ogni componente un vasto gruppo “familiare” guidato da un paterfamilias. Tra di essi venivano scelti i senatori, cioè coloro che anticamente facevano parte del consiglio del re. Tutto il resto della popolazione costituiva la plebs, uomini liberi, di diversa condizione economica: alcuni di loro diventavano clientes di patroni, instaurando con essi un rapporto di fides. Attraverso loro i patrizi si fornivano di fanti e quindi escludevano dalla guerra tutti coloro che non potevano permettersi un’armatura. A porre un freno fu, probabilmente la dinastia etrusca che, poggiando i desideri dei mercanti e dei commercianti allargò le centurie, portandole a 193, e dividendole su base economica. Quindi avremo 7 classi, di cui la prima, la più ricca (i patrizi) disponeva di 18 centurie; la seconda, quella dei fanti, ben 80 centurie; seguivano quindi tre classi di 20 centurie l’una, la più povera ne aveva 30, più una dei nullatenenti (proletarii) che ne possedeva 5. Il voto andava per classe: 98 la prima classe, 95 la seconda. Si allargava il potere decisionale, ma non si intaccava il potere di chi possedeva maggior peso economico. Inoltre sempre fra l’ultima età monarchica o la prima repubblicana vennero riformate le tribù su base territoriale, quattro cittadine e le altre rustiche. Ognuna di esse doveva presentare al suo interno cives cum suffragio. Alla caduta della monarchia si decise che ogni carica ed officio politico avesse, per non trasformarsi in tirannide, come requisiti la collegialità, la temporalità e l’elettività. Esse erano:

  • Il consolato: nominati in due, era la maggior carica dello stato. Il loro nome indicava l’anno in cui erano al potere; avevano in mano il potere militare (comandavano gli eserciti), legislativo, proponevano leggi;
  • La questura: amministrava il denaro pubblico, incassando i tributi e pagando i vari amministratori dello stato. All’inizio furono due, poi, mano mano crebbero, fino ad arrivare a quaranta.
  • L’edilizia: sovrintendeva a tutto ciò che si richiedeva per l’approvvigionamento ed il divertimento della città: mercati, spettacoli; presiedevano inoltre all’ingegneria pubblica, strade, edifici e all’ordine pubblico che oggi chiameremo municipale.
  • La pretura era il vero e proprio organo giurisdizionale; all’inizio due (uno urbano, l’altro esterno). Aumentarono con l’aumentare dei possedimenti statali;
  • La censura si occupava del censimento politico e militare; aggiornava le liste elettorali.

Il V° secolo fu il secolo in cui più aspra si fece la lotta tra patrizi e plebei: tale lotta ebbe effetti importanti per la repubblica come l’instaurazione di una collegialità plebea che poteva eleggere i propri rappresentanti considerati inviolabili e con facoltà di porre il veto su decisioni contrarie alla sua classe. I plebei economicamente più forti riuscirono nel corso degli anni ad entrare nelle magistrature riservate al patriziato e a far approvare alcune richieste inderogabili: il matrimonio tra patrizi e plebei e la scrittura delle tavole delle leggi.

Aspetto militare

La cacciata dei re etruschi provocò la controffensiva del lucumone (alta magistratura etrusca) di Chiusi Porsenna. Al di là della tradizione che, raccontando atti di eroismo (vedi Muzio Scevola), voleva nascondere la verità, il re etrusco riuscì ad imporsi sui Romani; ma a cacciarlo via fu una coalizione latina e dei greci di Cuma. Ripresa la libertà i Romani dovettero affrontare le varie città del Lazio, ma, visto il pericolo rappresentato dagli Equi, i Volsci e i Sabini, si allearono tra loro. Mentre l’alleanza aveva la meglio sulle popolazioni italiche, la sola Roma conquistò Veio, città etrusca. Tale vittoria costituì l’incipit di una vera e propria espansione della città Romana che, con battute d’arresto (famosa la discesa dei Galli) e strepitose vittorie (si pensi alla difficile vittoria contro i Sanniti) fece diventare l’Urbe una vera e propria potenza. Tale potenza non poteva non entrare in contatto con le più progredite città della Magna Grecia. Quando, per uno sconfinamento navale, Roma dichiarò guerra a Taranto, avamposto delle città greche in Italia, quest’ultima chiese aiuto a Pirro, re dell’Epiro. La battaglia ebbe un esito vittorioso per il re greco, grazie anche agli elefanti, sconosciuti all’esercito romano, ma furono talmente grandi le sue perdite e veloci le capacità di ripresa romana che tale vittoria non risultò decisiva. La sua ambivalenza politica, il suo orgoglio personale alla fine lo perdettero e rientrò in Grecia. Roma, conquistata Taranto, completò l’occupazione della Puglia e della Basilicata, rimanendo, così, padrona del Mediterraneo.

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Nicola Poussin: Ritratto del vincitore dei Volsci Coriolano con ai piedi la madre Veturia

La cultura

La cultura di questo periodo non può che essere ancora una cultura autoctona (intendendo con questo termine una cultura che non vede ancora la preponderante e assoluta preminenza greca) ed è per la maggior parte orale, conosciuta per le testimonianze e piccole trascrizioni di autori tardi.

Cultura epigrafica

Tuttavia la prima espressione scritta, pertanto, non letteraria, la possediamo per via epigrafica (dal greco epì grafo = scrivo sopra, pietre, vasi in argilla o ceramica, lastre tombali ect.). Fra queste ricordiamo:

  • Lapis niger: pietra nera: questo cippo, su cui sovrastava una pietra nera (da qui il nome) veniva considerato il luogo della tomba di Romolo. E’ scritto in modo bustrofedico (scrittura a nastro da sinistra verso destra e, nella riga successiva da destra verso sinistra) e la sua interpretazione è ancora assai complessa.

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Lapis niger

  • Lapis Satricanus: scoperto piuttosto di recente presso Anzio, riporta una dedica al dio Marte.

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Lapis Satricanus

Vaso di Dueno: recipiente in argilla in tre corpi con un’iscrizione a caratteri greci su ognuno di essi. Difficoltosa l’interpretazione.

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Vaso di Dueno

  • Cista Ficoroni: prende il nome dell’antiquario che la scoprì. E’ un recipiente in bronzo probabilmente atto a contenere gioielli. Tale iscrizione, databile il IV sec. A. C., è in un latino più comprensibile e meno arcaico dei precedenti:

CISTA FICORONI

 Latino arcaico

Dindia malconia fileai dedit
novios plautios med romai fecid

Latino classico

Dindia Malconia filiae dedit
Novius Plautius me Romae fecit

Dindia Malconia donò alla figlia / Novio Plauto mi fece a Roma.

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Cista Ficoroni

Fibula Praenestina: parliamo di un vero e proprio “giallo” archeologico: scoperta come la più antica testimonianza epigafrica (VII secolo) dal tedesco Helbig (1887), una studiosa nel 1980 ne denunciò la falsità; ma fu ancora un’altra studiosa, in tempi recenti ne confermò, invece, l’autenticità. La fibula così recita: Manios med fefaked Numasioi (Manio mi fece per Numerio).

Fibula prenestina - Wikipedia

Fibula Praenestina

Carmina

Un aspetto assolutamente importante rivestono i carmina. Con questo termine non è possibile riferirci alla poesia o alla prosa, ancora non delineata in questo tipo di cultura. Si tratta invece di prender coscienza di alcuni strumenti retorici che delimitano il discorso da quotidiano a rituale. Per meglio dire l’uso consapevole dell’allitterazione, dell’assonanza, del ritmo, per alcuni addirittura di una vera e propria struttura metrica, rendono questi testi appunto “rituali”, dedicati ad alcuni scopi, religiosi o laici, ma tutti rivolti a rafforzare l’identità culturale. Se d’altra parte il termine carmen, trae origine dal verbo cano, cantare, vuol dire certo che essi andavano al di là della funzione comunicativa per andare a quella rituale.

Distinguiamo, per comodità, i carmina religiosi da quelli laici. Per i primi ricordiamo:

  • Carmen Saliare: apparteneva al collegio sacerdotale dei Salii, sacerdoti del dio Marte. Costoro custodivano dodici scudi insieme alla statua del dio. Si racconta, infatti, che essendo uno scudo caduto dal cielo, in cui era raffigurata la futura potenza romana, il re Numa Pompilio ne facesse costruire altri undici uguali affinché quello non fosse rubato. La loro protezione fu affidata a codesti sacerdoti il cui nome deriva da salto, danza che costituita il rito.

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Cavaliere salio (appartenente al colleio dei Salii)

  • Carmen Lustrale: dedicato anch’esso al dio Marte, ci è stato tramandato da Catone il Censore è veniva recitato dal paterfamilias in occasione dei sacrifici di animali per la difesa delle terre dall’attacco nemico.
  • Carmen Arvale: come dice il nome stesso, è collegato ai campi. All’inizio del mese di maggio, 12 sacerdoti, detti fratres Arvales, attraverso riti quali canti, processioni, sacrifici, propiziavano la fecondità della terra per un buon raccolto. La loro conservazione, attestata da un lastrone contenente il testo (II sec. a.C.) è data certamente anche dal linguaggio arcaico, e quindi sacrale, del carme:

30054283034.jpg Edizione del 1933 del Carmen Arvale

CARMEN ARVALE

Latino arcaico

E nos, Lases, iuvate!
Neve lue rue, Marmar, sins incurrerre in pleoris!
Satur fu, fere Mars, limen Sali, sta ber ber!
Sumenis alternei advocapit conctos
E nos, Marmor, iuvato!
Triumpe!

 Latino classico

O nos, Lares, iuvate!
Neve luem, ruinam, Marmar, sinas incurrere in plures!
Satur esto, fere Mars; limen Sali; sta illic, illic!
Sermonis alternis advocabit cunctos!
O nos, Marmar, iuvato!
Trumphe!

Oh, Lari, aiutateci! / Non permettere, o Marte, che pestilenza e rovina si abbattano su tanti uomini! / Sii sazio, feroce Marte, balza sulla nostra soglia e fermati lì, lì! / Invocherà tutti i sermoni a turno! / O Marte aiutaci! / Trionfo!

Fra i carmina laici ricordiamo

  • Carmina triumphalia: purtroppo di questo tipo di carmina non ci è giunto nulla. Tuttavia, grazie agli scrittori antichi sappiamo che essi venivano svolti durante il trionfo di un comandante a cui, oltre a cantargli lodi, si cantavano versi osceni ed offensivi, in senso sia politico che apotropaico,: la prima infatti voleva indicare la parità tra il comandante e il valore dei suoi soldati; la seconda, invece, aveva la funzione di malocchio.

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Immagine di un triumphator

  • Carmina convivalia: venivano svolti durante importanti banchetti in cui con il canto i convitati cantavano le grandi gesta di un illustre antenato.

ab-ovo-usque-ad-mala-2.jpgBanchetto romano da un affresco pompeiano

 

Cultura storica e giuridica

Vogliamo indicare con cultura storica un atto aristocratico attraverso cui il pontifex maximus annotava su una tabula dealbata (tavola imbiancata) i grandi fatti avvenuti in un anno, in cui venivano scritti i nomi dei grandi magistrati, i giorni fasti e i giorni nefasti (giorno in cui si poteva o non si poteva svolgere attività giuridica), gli esiti delle battaglie, i grandi commerci e via dicendo. Tale tavola poi veniva messa in un archivio (tablinum) per una futura consultazione. Questa attività cessò durante il II° secolo.

Sempre in riferimento ad una “specie” di attività storica possiamo citare sia le laudationes funebres che gli elogia funebres.

S’intende con laudatio funebris un atto in cui un parente stretto, a seguito di una processione in cui i partecipanti indossano una maschera rappresentante gli antenati del gruppo familiare, pronuncia una lode sulla virtù del morto. Tale laudatio entrava poi negli archivi a costituire una storia (certo un po’ esaltante e non veritiera) sulla gens cui la familia appartiene.

Per elogium funebre s’intende, invece, una vera e propria epigrafe in cui tale laudatio viene estesa, in forma breve, su una pietra in cui vengono riassunte le vittorie e le cariche che il morto aveva ricoperto.

Come esempio riportiamo l’iscrizione dedicata a Lucio Cornelio Scipione del 259 a.C.

ep0103.jpgLapide con l’iscrizione dell’Elogium Scipionis (Musei Vaticani)

ELOGIUM SCIPIONIS

(omane)
Duonoro optume fuise viro
Luciom Scipione.  Filio Barbati
consol, censor, aidilis  hic fuet a(pud vos.)
Hec cepit Corsica  Aleriaque urbe
dedet tempestatebus   aide mereto (D.)

Versione latino classico

Hunc unum plurimi consentiunt Romani
bonorum optimum fuisse virum,
Lucium Scipionem. Filius Barbati,
consul, censor, aedilis hic fuit apud vos.
Hic cepit Corsicam Aleriamque urbem,
dedit Tempestatibus aedem merito.

Moltissimi Romani condividono che solo lui fosse stato un ottimo uomo fra i nobili Lucio Scipione. Figlio di Barbato costui fu presso di voi console, censore ed edile. Costui catturò la Corsica e la città di Aleria, costui costruì doverosamente un tempio alle Tempeste.

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Ricostruzione delle XII Tavole nel Museo della Civiltà Romana 

Invece, quando parliamo di cultura giuridica, ci riferiamo alle XII tavole della legge, di cui conserviamo alcuni frammenti. Ci narrano gli storici che una delle vittorie dei plebei contro i patrizi fu proprio quella di aequare legibus omnibus. A tale scopo vennero nominati decemviri legibus scribundis che lasciarono sul foro dodici leggi che, non essendo uguali per tutti sul piano del contenuto, lo erano sul piano del rispetto delle stesse. Riportiamo di esse due esempi:

I.1

Latino arcaico

Si in ius vocat, ito. Ni it, antestamino. Igitur em capito.

Latino classico

Si in ius vocat, ito. Nisi it, antestamino. Igitur eum capito.

Se (uno) chiama in giudizio (un altro), vada. Se non va, si chiami un testimone. Dunque sia preso.

IV.2

Latino arcaico

Si pater filium ter venumduit, filius a patre liber esto.

Latino classico

Si pater filium ter venum dederit, filius a patre liber esto.

Se un padre avrà venduto un figlio tre volte, il figlio sia libero dal padre.

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Dettaglio di sarcofago con Muse e maschere teatrali

Cultura teatrale

Se il grande teatro latino è innegabilmente nato sotto l’influenza greca, non mancano nella Roma arcaica, esempi, più che altro rituali, di spettacoli. Livio, grande storico romano, ci parla, nel suo testo, di Fescennini versus (versi fescennini). E’ ancora estremamente difficile dare un significato a questo termine. Importa più che altro ricordare che si tratta di una farsa popolare con scherzi piuttosto pesanti sul piano sessuale, che in età classica venivano ancora menzionati durante i riti nuziali.

Ben diversa è la fabula atellana nella quale, pur nell’improvvisazione, operavano quattro personaggi fissi: Maccus (lo sciocco), Baccus (il ghiottone e il chiacchierone), Pappus (il vecchio stupido), Dossennus (il furbo).

Un altro aspetto, di cui poco si sa (è sempre Livio a riferircene), è costituito dai Ludi scaenici. Infatti si narra che durante una pestilenza i Romani, non riuscendo a placare gli dei, chiamarono attori etruschi che diedero vita a danze accompagnate dal suono del flauto. In seguito i Romani adattarono ad essi il carattere dei fescennini e da questa mescolanza sarebbe sorta la satura.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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