MARCO VALERIO MARZIALE

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Marco Valerio Maestrale

Epigramma
Etimologicamente la parola “epigramma” significa “scrivo sopra” quindi iscrizione. Sin dai tempi dall’antica Grecia, troviamo attestata tale forma, in vario metro, con intenti pratici e celebrativi (funerari, votivi, di commemorazione di persone o eventi).
Solamente in età tarda, tuttavia, esso viene codificato:

  • Componimento breve;
  • Libertà metrica (con prevalenza del distico elegiaco);
  • Argomenti vari (soprattutto d’argomento privato o soggettivo)
  • Estrema eleganza formale.

A Roma l’epigramma appare tra il II ed il I sec. a. C. nel cosiddetto circolo dei neoterici, tra i quali spicca la poesia di Catullo; ed è a questo tipo di poesia che si ispira Marziale, che adotta, proprio per la sua opera, il termine “epigramma”, codificandolo sia nel contenuto che nella varietà metrica.

Notizie biografiche
Le notizie biografiche di Marco Valerio Marziale le deduciamo sia dalla sua opera che dal contemporaneo ed amico Plinio il Giovane attraverso una lettera.
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Bilbilis (oggi Catalayud) città natale di Marziale: teatro romano

Nasce nella Spagna Terraconense nella città di Bìlbilis tra il 38 e il 41. Dopo aver appreso i primi rudimenti nella terra d’origine, intorno ai vent’anni giunge a Roma, per intraprendere, forse, studi notarili. Viene accolto in città dalla colonia spagnola, che faceva riferimento alla famiglia dei Pisoni. Diviene pertanto amico di Seneca, Lucano e Persio. Ma la scure nerioniana che si era abbattuta sui principali esponenti della colonia spagnola, gli fa assumere un basso profilo; inizia per lui un oscuro periodo in cui, diventato cliens, cerca protezione in uomini facoltosi che gli permettono di sostentarsi.

E’ intorno agli 80, sotto l’impero di Tito, che ottiene successo attraverso il Liber de spectaculis o Liber spectaculorum. La notorietà acquisita fa sì che l’imperatore gli conceda il ius trium liberorum (un beneficio in denaro per chi aveva tre figli, poi esteso anche ad altre categorie); sotto Domiziano divenne addirittura tribunus militum che gli concedeva l’accesso alla classe dei cavalieri. Nonostante il successo dei suoi libri, che pubblica ogni anno, e le cariche ricoperte, egli rimane sia economicamente che psicologicamente un subordinato. Si allontana per un breve periodo in Emilia, ma sente nostalgia per la città in cui torna a vivere. La morte di Domiziano, verso cui si era speso in sperticati elogi, lo rende, se non proprio inviso, indifferente alla nuova dinastia, quella di Nerva e di Traiano. Decide pertanto di tornare a Bìlbis, con i soldi dell’amico Plinio e, con l’aiuto di una ricca vedova, entrerà in possesso di una casa in campagna, dove continuerà a scrivere (produrrà l’ultimo libro di epigrammi) e dove chiuderà gli occhi tra il 101 e il 104.

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Edizione del 1617

Epigrammi
L’opera di Marziale ci è giunta suddivisa in quindici libri:

  • Liber de spectaculis, composto per l’inaugurazione dell’Anfiteatro Flavio, consta di circa una trentina di epigrammi, in cui elogia l’opera, i giochi ce vi si effettuano e l’imperatore che ne ha permesso e terminato la realizzazione.

ESALTAZIONE DEL COLOSSEO
(1, 1)

Barbara pyramidum sileat miracula Memphis,
Assyrius iactet nec Babylona labor;
nec Triviae templo molles laudentur Iones,
dissimulet Delon cornibus ara frequens
aere nec vacuo pendentia Mausolea
laudibus inmodicis Cares in astra ferant.
Omnis Caesareo cedit labor Amphitheatro,
unum pro cunctis fama loquetur opus.

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Il Colosseo in un disegno del Piranesi (1720- 1778)

La barbara Menfi non parli dei miracoli delle piramidi, / la fatica degli Assiri non si vanti dei giardini di Babilonia; / i molli Ioni non siano lodati per il tempio di Diana, / l’altare ricco di corna non esalti Delo; / il Mausoleo sospeso nell’aria vuota / non sollevi i Carii fino alle stelle con lodi senza misura. / Tutte le meraviglie del mondo cedono all’anfiteatro di Cesare: / la fama ricorderà un solo capolavoro per tutti.

L’epigramma proemiale del primo libro ci dà la misura sia dell’esaltazione del manufatto che dell’artefice: se il Colosseo è inserito nelle canoniche meraviglie dell’antichità, non manca l’esaltazione del tempio di corna di cervo da parte di Apollo, quindi, a livello mitico, di un dio; ne nasce il parallelismo Apollo-Tito da cui la divinizzazione in vita dell’imperatore.

La seconda parte dell’opera è invece costituita da 12 libri di epigrammi, pubblicati uno per anno. Non vi è una particolarità tematica tra i vari libri, ma una unità del “sentire” e quindi del costruire lessicalmente e stilisticamente il suo dettato poetico.

Vediamo, innanzitutto, la sua poetica:
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Copertina di un saggio per il centenario di Marziale, pubblicato in Spagna (2004)

HOMINEM PAGINA NOSTRA SAPIT
(X, 4)

Qui legis Oedipoden caligantemque Thyesten,
Colchidas et Scyllas, quid nisi monstra legis?
Quid tibi raptus Hylas, quid Parthenopaeus et Attis,
quid tibi dormitor proderit Endymion?
Exutusve puer pinnis labentibus? aut qui
odit amatrices Hermaphroditus aquas?
Quid te vana iuvant miserae ludibria chartae?
Hoc lege, quod possit dicere vita “Meum est.”
Non hic Centauros, non Gorgonas Harpyiasque
invenies: hominem pagina nostra sapit.
Sed non vis, Mamurra, tuos cognoscere mores
nec te scire: legas “Aetia” Callimachi.

Tu che leggi la storia di Edipo e di Tieste il tenebroso, / di Colchide e di Scilla, perché leggi solo cose orribili? / Che ci guadagni col rapimento di Ila, con Partenopeo, con Attis / e con il mito di Endimione addormentato? / E con Icaro nudo che perde le penne? E con / Ermafrodito che odia le acque innamorate? / Cosa ci trovi in queste storie false di miseri libri? / Leggi questo di cui la vita possa dire “E’ mio”. / Qui non troverai né Centauri, né Gorgoni, né Arpie: / se la mia pagina ha un sapore, è quello dell’uomo. / Ma tu, Mamurra, non vuoi conoscere le tue abitudini, / non vuoi conoscere te stesso: e allora leggiti gli “Aitia” di Callimaco.

Epigramma estremamente importante perché ci informa esattamente a quale fine tende giungere il nostro poeta: in primo luogo la netta distanza verso la tragedia e l’epica, qui richiamate da personaggi che le caratterizzano ad indicarne l’origine. Infatti per lui tale letteratura non serve, non migliora la vita dell’uomo.

Detto questo la sua poesia, quindi, si pone un fine didattico, di miglioramento della vita umana? A leggere attentamente si direbbe di no: infatti Marziale non intende educare, ma solo rappresentare i vizi, tra i quali inserisce quelli di coloro che leggono monstra per essere intellettuali. D’altra parte è proprio il realismo la cifra stilistica che lo caratterizza sintetizzata da quello che può essere definito un vero e proprio motto hominem pagina nostra sapit; per questo la vita se ne appropria, quasi a dire “è cosa mia”.

PIACERE AL LETTORE
(IX, 81)

Lector et auditor nostros probat, Aule, libellos,
sed quidam exactos esse poëta negat.
Non nimium curo. Nam cenae fercula nostrae
malim convivis quam placuisse cocis. 

O Aulo, un lettore e un uditore approva i nostri libricini, / ma un certo poeta nega che siano perfetti. / Non me ne curo affatto. Infatti le portate della nostra cena / preferirei che risultassero gradite ai convitati piuttosto che ai cuochi.

Altro epigramma che potremmo definire di poetica: si tratta infatti di individuare i lettori. Se bene si riflette sull’epigramma precedente, è evidente che chi apprezza la sua poesia, cioè chi vi cerca in essa il realismo, non può che gradire di più il contenuto, come un commensale, piuttosto che il modo in cui esso è stato preparato, appunto gli artefici; meglio un poeta “semplice” e “non perfetto”, che un poeta inutile.

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Un libro dell’antica Roma

LIBRO O LIBRETTO
(X, 1)

Si nimius videor seraque coronide longus
esse liber, legito pauca: libellus ero.
Terque quaterque mihi finitur carmine parvo
pagina: fac tibi me quam cupis ipse brevem.

Se ti sembro un libro troppo ampio, ove la parola fine / arriva molto tardi, leggi pochi carmi: così diventerò un libretto. / Molto spesso la mia pagine finisce con un piccolo carme: / rendimi tu stesso, per tuo uso, corto quanto vuoi.

Se abbiamo già visto l’argomento ed il pubblico, qui viene trattata l’ampiezza, di cui si rivendica la brevità. Infatti la poesia di Marziale è spesso brevissima, che può chiudersi addirittura in un semplice distico, ma che per questo risulta essere molto icastica, pregnante, capace, cioè, con piccolissimi tratti di penna, d’individuare un tipo, un vizio, una situazione. A tale scopo ricorre spesso, a fine carme ad una piccola clausola, un finale ad effetto si direbbe, con il quale può stravolgere il senso.

Dopo la poetica vediamo i valori di cui è disseminata l’opera: tra i primi vi è l’amicizia, ma quella che qui vediamo è un’amicizia particolare:

GLI AMICI
(1, 54)

Si quid, Fusce, vacas adhuc amari –
nam sunt hinc tibi, sunt et hinc amici –,
unum, si superest, locum rogamus,
nec me, quod tibi sim novus, recuses:
Omnes hoc veteres tui fuerunt.
Tu tantum inspice qui novus paratur
An possit fieri vetus sodalis.

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Un cliente si reca a salutare il suo patrono

Se ti manca ancora qualcuno, o Fusco, dal quale essere amato – / infatti tu hai amici da tutte le parti – / se ti rimane soltanto un posto, / te lo chiedo per me, non mi rifiutare, perché per te sarei nuovo: / per questo tutti i tuoi vecchi sono stati (cioè furono nuovi un tempo). / Tu soltanto guarda chi si presenta nuovo / probabilmente potrebbe diventare un vecchio amico.

Quando i romani parlano d’amicizia si riferiscono sempre a poche persone pauci amici ci ricorda la poesia catulliana, nonché l’epicureismo lucreziano; tale concezione non cambia con il cambiare dell’ideologia filosofica; tale affermazione è rispecchiata anche nel pensiero senecano: l’amicizia pur rivestendo un aspetto maggiormente etico rispetto a quell’affettivo rimane piuttosto ristretta. Qui Fusco, invece, ha amici da tutte le parti. Ciò pertanto ci porta ad affermare che qui Fusco è un patronus a cui Marziale chiede di diventare un nuovo cliens. Perché quando si tratta di amicizia “vera” ecco cosa ci dice il poeta:

VITA FELICE
(10, 47)

Vitam quae faciant beatiorem, 
Iucundissime Martialis, haec sunt:
Res non parta labore, sed relicta;
Non ingratus ager, focus perennis;
Lis numquam, toga rara, mens quieta;
Vires ingenuae, salubre corpus;
Prudens simplicitas, pares amici;
Convictus facilis, sine arte mensa;
Nox non ebria, sed soluta curis;
Non tristis torus, et tamen pudicus;
Somnus, qui faciat breves tenebras:
Quod sis, esse velis nihilque malis;
Summum nec metuas diem nec optes.

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Amici a Roma

Le cose che rendono più bella la vita / sono queste, carissimo Marziale: / un patrimonio non procurato con fatica, ma ereditato; / un campo fertile, un focolare sempre acceso, / mai liti, pochi affari, animo sereno, / forze da uomo libero, salute fisica, / saggia semplicità, amici di pari rango, / conversazione affabile, mensa non sofisticata, / notte senza ubriacature ma anche senza affanni, / non un letto triste, ma non impudico, / un sonno che abbrevi le tenebre, / essere ciò che sei e non preferire nulla, / alla fine né temere né bramare l’ultimo giorno.

Dove appunto gli amici sono di pari grado. Infatti questo epigramma è indirizzato a Giulio Marziale, che egli giudicherà il più saldo tra gli amici. Sono qui presenti elementi oraziani, una prudens simplicitas com’egli dice. Ma non manca nell’ultimo verso un richiamo al carpe diem. Egli inoltre v’inserisce anche la sua vis ironica, nell’affermare, tautologicamente, che è meglio essere ricchi senza lavorare.

In altri epigrammi troviamo la nostalgia per il suo paese , che descriverà con tutti i topoi del locus amoenus.

Ma Marziale ci è noto per il sarcasmo con cui descrive alcuni tipi umani:
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Il matrimonio nell’antica Roma

CACCIATORE D’EREDITA’
(X, 8)

Nubere Paula cupit nobis, ego ducere Paulam
nolo: anus est. Vellem si magis esset anus.

Paola desidera sposarmi. Io sposare Paola / non voglio. Lo vorrei se fosse più vecchia.

Qui il poeta mette in gioco se stesso. Ma la protagonista è la vecchia e l’insaziabile Paola, che vuole il poeta. Ma se così fosse stato, l’epigramma non sarebbe stato che un semplice quadretto di una vecchia laida. Non basta: serve l’arguzia, quel fulmen in clausula che permetta lo scatto “comico” in quanto stravolge l’attesa del lettore.

DA MEDICO A BECCHINO
(I, 47)

Nuper erat medicus, nunc est vispillo Diaulus:
quod vispillo facit, fecerat et medicus.

Diaulo prima era medico, ora becchino, / quello che fa il becchino, era fatto anche dal medico.

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Taberna medicae

Epigramma composto da soli due versi, in cui la satira pungente è determinata dalla duplicità con cui il nostro identifica i due uffici svolti dalla stessa persona, che tuttavia portano alla stessa fine: la morte.

ELIA LA SDENDATA
(I, 19)

Si memini, fuerant tibi quattuor, Aelia, dentes:
expulit una duos tussis et una duos.
Iam secura potes totis tussire diebus:
nil istic, quod agat, tertia tussis habet. 

Se ricordo Elia avevi quattro denti, / un colpo di tosse ne ha espulsi due. / Ormai puoi tossire sicura tutto il tempo / Un terzo colpo di tosse non ha nulla che porti via da lì.

Qui di Marziale emerge il sarcasmo: la descrizione si fa quasi espressionistica con quell’insistere sulla bocca sdentata e quindi sformata della povera donna. Elia sembra quasi sparire: non è la persona, ma propria la bocca a caratterizzarla nella sua bruttezza, quasi a richiamare il senso dell’orrido della satira di Persio.

Altra parte piuttosto ricca della produzione di Marziale occupano gli epigrammi d’amore o espressamente erotici:
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Acquaforte di Enrico Baj per un’edizione degli “Epigramma” di Marziale

DA FANCIULLO A UOMO
(IV, 7)

Cur, here quod dederas, hodie, puer Hylle, negasti,
durus tam subito, qui modo mitis eras?
Sed iam causaris barbamque annosque pilosque.
O nox quam longa es, quae facis una senem!
Quid nos derides? here qui puer, Hylle, fuisti,
Dic nobis, hodie qua ratione vires?

Perchè, giovincello Illo, mi hai negato oggi quello che mi avevi accordato ieri, / crudele così repentinamente tu che poc’anzi eri tanto generoso? / Ma tu già tiri in ballo la barba e l’età che porta la peluria. / O notte, quanto sei lunga tu che da sola rendi uno vecchio! / Che cos’hai da burlarti di me? Dimmi, Illo, tu che fino ad ieri eri un fanciullo, / per qual motivo oggi sei un uomo fatto?

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Acquaforte di Enrico Baj per un’edizione degli “Epigramma” di Marziale

INCOSTANZA D’AMORE
(VI,40)

Femina praeferri potuit tibi nulla, Lycori:
praeferri Glycerae femina nulla potest.
Haec erit hoc quod tu: tu non potes esse quod haec est.
Tempora quid faciunt! Hanc volo, te volui.

Nessuna donna poteva essere preferita a te, o Licoride; / nessuna può essere preferita a Gliceride. / Questa sarà quel che sei tu. Tu non puoi essere quello che è lei. / Che cosa mai fa il tempo! Ho voluto te, (ora) voglio lei.

Come si vede l’amore in Marziale non è mai cantato come sentimento: in lui tutto si riduce a soddisfacimento sessuale, soprattutto rivolto verso i giovinetti piuttosto che verso le donne. Quello che caratterizza tale scelta tematica, a livello stilistico, è in parte la ripresa terminologica, nonché versificatoria, con riferimenti diretti, a quella catulliana (nolo quot basia arguto dedit exorata Catullo Lesbia, non voglio tanti baci quanti Lesbia ha dato all’adorato Catullo che la pregava), in parte l’uso diretto di una terminologia fortemente volgare, dove i termini riferiti al sesso come mentula, vagina, culus o all’atto sessuale vengono a stridere a volte col dettato poetico del nostro. Si ha quasi l’impressione che a volte voglia sollecitare la morbosità del pubblico.

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Antico frontespizio 

Più sincero appare negli epigrammi funerari
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Bassorilievo si sarcofago

PER LA MORTE DI UNA BIMBA
(V, 34)

Hanc tibi, Fronto pater, genitrix Flaccilla, puellam
oscula commendo deliciasque meas,
parvola ne nigras horrescat Erotion umbras
oraque Tartarei prodigiosa canis.
Impletura fuit sextae modo frigora brumae,
vixisset totidem ni minus illa dies.
Inter tam veteres ludat lasciva patronos
et nomen blaeso garriat ore meum.
Mollia non rigidus caespes tegat ossa, nec illi,
terra, gravis fueris: non fuit illa tibi.

A te padre Fronto, a te madre Flaccilla, questa fanciulla / affido, amore e delizia mia, / affinché il mio piccolo amorino non sia terrorizzata dalle nere ombre / e dalla bocca spaventevole del cane Tartareo. / Sarebbe stata quasi per completare i freddi del sesto inverno / se avesse vissuto altrettanti giorni. / In mezzo a così vecchi patroni giochi allegra / e gridi il mio nome con la bocca balbettante. / I rigidi cespugli non coprano le tenere ossa, né a lei, / terra, sii grave: lei non è stata fatta per te.

E’ proprio all’interno della tradizione epigrammatica seria che Marziale offre le sue prove migliori, in special modo in quelli funerari; si tratta spesso di giovani morti prematuramente, figli di amici o protettori del poeta). Qui il poeta mostra un dolore sincero, una commozione affettuosa che manca nel resto della sua produzione.

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Antoine Callet: Saturnalia (1783)

Gli ultimi due libri, sebbene siano stati composti successivamente il Liber de spectaculis, sono gli Xenia e gli Apophoreta, dedicati, ambedue alla festa dei Saturnali, che si svolgeva dal 17 al 23 dicembre. Durante questa festività si era soliti scambiarsi doni: nel libro degli Xenia vengono raccolti gli scritti, di un solo distico, che accompagnavano i doni degli ospiti, spesso si trattava di cibo. Questi scritti erano richiesti proprio da ricchi facoltosi che i servivano di poeti per accompagnarli con qualche dedica. In quello degli Apophoreta erano invece i doni da portar via, anch’essi accompagnati da brevissime poesiole. Quest’ultimi ci offrono un campionario piuttosto ricco degli oggetti che venivano offerti durante una cena.

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