L'ETA' DEI FLAVI

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Ricostruzione dell’Anfiteatro Flavio

Alla morte di Nerone, con cui si conclude la dinastia Giulio-Claudia, Roma rivive, con terrore, anche se per un solo anno, un periodo di guerre civili per determinare il nuovo imperatore.

L’anno 69 d.C. è ricordato come l’anno dei “quattro imperatori”:

Subito dopo la morte di Nerone, viene nominato Galba, rappresentante del partito filo senatorio;

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Galba

Ciò provoca l’opposizione dei pretoriani, che, ucciso Galba, nominano a loro volta Otone, ex governatore della Lusitania;
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Otone

In Germania, intanto, le truppe lì stanziate, eleggono come imperatore Vitellio; sceso in Italia sconfigge Otone presso Cremona;

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Vitellio

Insorgono però le legioni orientali, che nominano come imperatore il loro generale Vespasiano, impegnato nella guerra giudaica. Lascia il comando a suo figlio Tito, entra in Italia e conquista Roma, dopo aver catturato e ucciso Vitellio.

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Vespasiano

Vespasiano è stato il primo imperatore di origine italica e di rango equestre, accettato (d’altra parte non poteva essere altrimenti) dal Senato. Uno fra i suoi primi atti fu la promulgazione della lex de imperio Vespasiani attraverso la quale designava le sfere d’intervento riservate all’imperatore e al Senato, determinando così un periodo di pace fra i due massimi poteri dello stato.

Fu anche un abilissimo amministratore, risistemò le finanze dell’erario grazie anche al tributo che venne imposto agli sconfitti Ebrei. Ciò gli permise di avviare la costruzione di nuove opere pubbliche (l’anfiteatro Flavio, più conosciuto come il Colosseo, terminato da suo figlio Tito). Regolò anche il problema della successione, scegliendo il modello ereditario.

Alla sua morte, nel 79, gli successe suo figlio Tito. Intorno alla sua figura circolavano gravi timori, il più importante dei quali era il suo rapporto con la principessa ebrea Berenice, che prospettava un bilanciamento verso oriente (il ricordo di Antonio e Cleopatra era ancora vivo). Egli seppe stornare da lui i sospetti e si comportò talmente bene da essere definito come deliciae generis humani. Regnò soltanto tre anni, ma durante la sua reggenza l’Impero fu colpito da gravi calamità, come l’eruzione del Vesuvio con la distruzione di Ercolano e Pompei e un gravissimo incendio nella città di Roma. Muore per malattia.

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Tito

Il potere quindi passa a suo fratello, Domiziano, sotto il cui regno ripresero vigore le tendenze autoritarie, che in ultima analisi, volevano dire la subordinazione del Senato al volere del princeps. Ripristinò la divinizzazione dell’autorità imperiale, riportando a Roma mode e modelli orientali. Una congiura di aristocratici pone fine alla sua vita nel 96.

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Domiziano

La cultura

Gli imperatori di questa età non erano intellettuali, né volevano che li si ritenesse tali, visto il loro immediato predecessore e il fine “pubblico” che egli fece di tale intellettualità, Nerone. Tuttavia non erano sprovveduti, tanto che lo stesso Vespaspasiano sembra conoscesse sia la lingua che la cultura greca. Diciamo pure  che erano perfettamente consapevoli che la cultura poteva loro garantire legittimità e consenso. Per questo il potere si circondò e quindi controllò gli intellettuali, in quanto essi dovevano fornire quella classe di funzionari atti a garantire l’efficacia amministrativa dello stato: si pensi ad intellettuali come Plinio il Vecchio e Quintiliano. Il fatto che uno fosse un “enciclopedista” e che la sua opera contenesse l’intero scibile sulla natura e l’altro fosse un “letterato” la cui Institutio oratoria non certo serviva a formare persone strumentalmente preparate per l’agone politico, fa sì che il fine fosse soprattutto pedagogico. Perché? Soprattutto per il fatto che la dinastia Flavia operò soprattutto alla ricerca di un numero di “provinciali” da educare affinché potessero diventare validi funzionari per l’impero. Saranno anche loro a promuovere il ritorno a un certo ordine e quindi un allontanamento da alcuni esiti eccessivamente sperimentali e a spingere verso una formalità e pulizia stilistica della fine della repubblica e dell’età augustea. Per questo si parla di questo periodo come di un ritorno al classicismo, anche se questo ritorno non ebbe esiti definitivi e se per alcuni autori, come gli “epici” esso ebbe esiti per alcuni “risibili”, per altri un maggiore “eclettismo” come nell’opera di Marziale.

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Calliope, musa della poesia epica

Per quanto riguarda la filosofia, i Flavi ebbero la stessa diffidenza dei loro predecessori: coagulandosi intorno alla filosofia stoica l’opposizione antimperiale è naturale che la loro presenza a Roma fosse poco gradita.

Per quanto riguarda i generi abbiamo:

  • La ripresa del genere epico nel nome di Virgilio, il cui rappresentante principale è, e non solo, Stazio.
  • L’erudizione, che vede il suo affermarsi con la Naturalis historia di Plinio il Vecchio;
  • L’oratoria, che ha perso completamente il ruolo politico del tempo di Cicerone: l’Institutio oratoria di Quintiliano è comunque un testo base dal quale ha inizio la scienza della pedagogia;
  • L’epigramma con Marziale.

I generi che forse più di altri avrebbero certamente creato problemi al potere, non furono trattati sotto questi tre imperatori: non è un caso che la storiografia di Tacito e le satire di Giovenale appaiono soltanto dopo la morte di Domiziano.

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